Nella sua passione Gesù distrugge ogni idolo, ogni falsa immagine del Dio della vita che in realtà è solo cuore, amore, carità. La carità può attraversare la croce del rifiuto, c’è il rischio che l’amore, la dedizione siano rifiutati.
Gesù dalla croce ama quando è più difficile amare, ama con tutto se stesso, anche con tutta la sua umanità, proprio nel momento in cui è stato rifiutato.
Vivere il mistero pasquale di morte e risurrezione ci invita ad accogliere Gesù che ama in questo modo, ad accogliere se stessi, gli altri, le ferite e le imperfezioni.
Contemplare Gesù mentre si opera e agire con lo sguardo rivolto a Dio è la via buona per amare e fare carità. Tuttavia non è facile, può essere che qualcuno sia tentato di scoraggiamento e disincanto, soprattutto di fronte all’impotenza che si sperimenta quando il volto dei poveri ci si impone chiedendo aiuto o rifiutando il nostro aiuto o la modalità con la quale si cerca di offrire un sostegno.
I poveri che incontro al Centro di ascolto Caritas della Cattedrale, dove collaboro da un paio di anni mi interrogano e mi spingono continuamente a cambiare il mio sguardo sulla realtà, sulla vita.
Credo che cambiare sia passare attraverso l’esperienza dell’amore più grande, quello di Gesù che non ha avuto successo, ma è stato fecondo. Cambiare lo sguardo mi pare voglia dire amare le persone e fidarci di Dio mentre siamo contraddetti, rifiutati mentre non comprendiamo.
Carità è accogliere l’amore di Dio e condividerlo con altri, vivere con la fiducia che Dio ci ama e che ha il suo tempo per noi e per gli altri, cambiare il mio sguardo è donare ai poveri il mio tempo.
Il clima tra volontari nel Centro di ascolto è molto semplice, riscopro la solidarietà quella credo che vivessero i primi cristiani che si basava sulla Parola e aperta al prossimo. Cerchiamo di aiutare chi viene all’ascolto con tutti i mezzi di cui disponiamo, con le idee, con la creatività, con le qualità di ognuno, cerchiamo di coinvolgere altre persone nel sostegno; non sempre l’aiuto che offriamo è accolto, forse perché non intercettiamo il loro bisogno o perché la nostra risposta non è secondo le loro aspettative.
A volte lo scontro con il male, le ingiustizie, la sofferenza e le difficoltà relazionali segnano in modo pesante la vita delle persone e la Parola sembra a volte inefficace, le esperienze buone un ricordo lontano.
Siamo umanità fragile che aspetta, a volte, da fratelli e sorelle qualcosa di impossibile, lo viviamo in prima persona e lo viviamo anche con i poveri e i poveri con chi li aiuta.
Un pericolo che penso ci rattristi tutti è quello di rimpiangere il passato, sognare il futuro, invece di credere che il Signore si incontra nel presente, nella terra dell’esilio, nella valle di lacrime, nella croce e risurrezione.
La prima suora della mia congregazione ci ha chiamate Figlie della carità serve dei poveri ed essendo nata nell’800, secolo in cui la devozione al crocifisso era diffusissima, raccomandava alle sue figlie di contemplare Gesù in croce perché lì, nel momento di maggior rifiuto, Lui ha amato così tanto da morire.
Contempliamo con gli occhi del cuore questo mistero pasquale perché è il cuore che vede… «l’occhio si posa su quello che amiamo» e «i poveri li avremo sempre con noi» per aiutarci a cambiare lo sguardo, a convertirlo nella direzione della croce.
sr Zita Morandi, religiosa canossiana e volontaria Centro di ascolto del vicariato della Cattedrale