GLI INVISIBILI
di Oren Moverman
genere: drammatico, 117′
Siamo a New York, più che mai metropoli e Grande Mela. George, uomo di mezza età, ha abbandonato tempo addietro la figlia Maggie di 12 anni, lasciandola nelle mani della nonna materna. Rimasto senza lavoro e senza prospettive, George ha progressivamente abbandonato ogni speranza di recupero, adattandosi a dormire dove capita nelle ben poco accoglienti strade newyorchesi Dopo aver provato a fermarsi in bui androni di palazzi, George trova finalmente rifugio in un grande centro di accoglienza per senza tetto, il Bellevue Hospital…
Il film è uscito in Italia in modo anomalo e inusuale: è stato presentato nella mensa della Comunità di Sant’Egidio a una platea di homeless e alla presenza del protagonista stesso: Richard Gere. Per cui la riflessione indotta era: Richard Gere, divo americano, uno di quelli che maggiormente impersonano lo star system hollywoodiano, è qui davanti a voi nel ruolo di uno di voi. L’attore, da parte sua, ha fatto di tutto per apparire nel film un senza tetto credibile, un reietto, un solitario uno degli ultimi della scala sociale, aiutato dalla regia di Overmann che ne accentuava l’isolamento e il realismo di fondo. Il copione però non è sempre nitido e impeccabile. E anche qui procede per paradossi e “opposti”. Il film apre una finestra seria e profonda su un’America che è ben altro, il Paese della sofferenza, delle privazioni, della solitudine, di una povertà diffusa e autentica. Ed è un richiamo che il film lancia e che non va sottovalutato. Un appello a ritrovare coesione, solidarietà, apertura verso l’altro. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e da affidare a dibattiti. (a cura della Commissione nazionale valutazione film CEI).
UN GIORNO DEVI ANDARE
di Giorgio Diritti
genere: drammatico 110’
In seguito a dolorose vicende familiari (il marito l’ha lasciata quando lei ha perso il figlio e ha appreso di non poterne avere altri), la trentenne Augusta ha deciso di andare via da Trento e seguire suor Franca, un’amica della madre, missionaria nei villaggi indios dell’Amazzonia. Con lei Augusta rimane fino a quando capisce di non essere più in sintonia con lo slancio spirituale della religiosa. Prosegue così da sola il proprio percorso e si trasferisce a Manaus, andando a vivere in una favela. Qui, a contatto con una vita quotidiana fatta di sacrifici, rinunce e sogni, e in un contesto dove l’unica legge è quella degli elementi naturali, Augusta sente di dover fare un passo ulteriore. Così si isola nella foresta, e si lascia andare, pronta ad accogliere il dolore e a riscoprire l’amore, nel corpo e nell’anima.
In fuga da una situazione forse imprevista e troppo difficile da gestire (la mancata maternità, il marito che scappa), Augusta si scarica di ogni orpello precedente per gettarsi in un altro mondo, per ritrovare il significato delle parole e dei gesti. Accanto a lei, suor Franca segue lo stesso percorso con la forza dentro di sé del Vangelo da trasmettere e insegnare. La vita di preghiera non soddisfa Augusta che ha bisogno di percorrere da sola il sentiero che porta alla consapevolezza del Creato. Sa che ancora e sempre “deve andare”, diventare una cosa sola con l’aria, la terra e il cielo per sentirsi parte di un autentico progetto di vita. Non siamo soli però, a Trento la mamma e la nonna di Augusta piangono e soffrono, e al santuario di San Romedio la comunità dove torna suor Franca prega, lavora, prepara, tiene desto il messaggio per tutto il mondo. Diritti ha uno sguardo di forte profondità e di tensione infinita. Le immagini rimandano uno spazio talmente dilatato da trasmettere bellezza e angoscia allo stesso tempo. Si capisce che a Manaus la vita ha necessità così differenti da implicare un approccio di drastico cambiamento. E che tuttavia uomini, donne e bambini forse possono essere uguali in ogni dove: tutti appartenenti alla stessa famiglia umana, figli di Dio, dotati di anima e corpo in sintonia con lo spirito vitalistico. Storia di lucida verità e di affranto abbandono alla maestosità del paesaggio. La regia lambisce a lungo i contorni del mistero del Creato, segue con durezza i tratti del realismo (quasi denuncia) e nel finale sfonda il terreno del simbolismo. Opera sfaccettata e densa, cronaca di un cammino in quelle zone del mondo in cui la ragione e la follia chiedono aiuto alla fede, resoconto di un incontro tra l’immensa Amazzonia e il piccolo Trentino (dalla Val di Non la preghiera arriva nel resto del Mondo.
Dal punto di vista pastorale è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti (a cura della Commissione nazionale valutazione film CEI).
L’AMORE INATTESO
di Anne Giafferi
genere: commedia 89’
A Parigi, oggi. Antoine è un avvocato quarantenne di successo: una carriera brillante, una bella famiglia, con la moglie medico e due figli nel momento della crescita. Per un normale incontro informativo, Antoine va al colloquio con un insegnante del figlio. Nei giorni successivi il professore fa recapitare ad Antoine un invito. Per educazione e curiosità intellettuale più che per vero interesse, l’uomo va la sera in un locale parrocchiale dove vede riunite alcune persone. Un sacerdote, una comunità nemmeno troppo vivace, domande e risposte con toni bassi e quasi timidi. In quell’atmosfera qualcosa lo conquista. La lettura della Bibbia, i racconti di vita, le esperienze vissute fanno affiorare in lui alcune domande di cui non sospettava l’esistenza. I rapporti in famiglia cambiano, le sue assenze serali non sono ben viste dalla moglie che pensa a qualche tradimento. Antoine poi deve fronteggiare situazioni difficili sia con il fratello scapestrato sia con il padre che gli perdona tutto. Ma il nuovo cammino è ormai intrapreso e Antoine ha la serietà di seguirne le suggestioni interiori senza togliere spazi alla moglie né alla famiglia.
All’origine c’è un romanzo autobiografico, Catholique anonime, pubblicato nel 2008 e scritto da Thierry Bizot, nella vita marito della Giafferi, attivo in ambito televisivo come produttore e sceneggiatore. Nello stesso settore si muove anche la moglie, autrice di copioni e regista di alcune serie e fiction, qui all’esordio sul grande schermo. L’esperienza descritta da Bizot (e dal copione) è certamente significativa. Si basa infatti sul fenomeno dei cosiddetti “ricomincianti”, che Enzo Bianchi definisce come «adulti già battezzati, quindi non catecumeni, che ritrovano il cammino di fede in occasione di un evento personale o familiare». Quando entra per caso nella comunità, Antoine si tiene in disparte, alla fine della catechesi si sente uno di loro e nel finale può dire alla moglie: «Forse andrò a messa la domenica…», sentendosi rispondere «Ci andrai senza di me, lo sai». Scambio di battute nitido e rispettoso: la Francia laica non cede terreno ma lascia il giusto spazio a chi ritiene possibile un cammino differente, un modo di vedere la quotidianità con uno sguardo interiore, spirituale. Partendo da una base realistica, Giafferi ha il pregio di affidarsi a una regia lineare e senza scosse, di toccare spigolosità e pudore con sfumature da favola: quasi a raccontare non quello che succede ma quello che vorremmo succedesse. Con una sincerità che sfiora la verità della fede. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e molto utile per dibattiti (a cura della Commissione nazionale valutazione film CEI).