Quale annuncio sono in grado di ascoltare gli adulti?
Quale vangelo sarebbero disposti ad accogliere le donne e gli uomini di oggi?
La domanda appare volutamente rovesciata rispetto al titolo e a quella che facciamo di solito: quale vangelo è bene che gli adulti sentano? È a partire da questa seconda prospettiva che noi prepariamo i nostri programmi, organizziamo i nostri incontri, predisponiamo i nostri contenuti. Questa partenza legittima, perfino doverosa, è importante per poter delineare a quale punto di arrivo dobbiamo condurre le persone, qual è la figura adulta della fede, per avere un quadro di riferimento. Quando il quadro di riferimento si traduce in percorso, però, non dobbiamo confondere il traguardo con la strada. Noi desideriamo che gli adulti incontrino il Signore Gesù nella sua comunità, e desideriamo che giungano alla piena maturità in Cristo. Ma dobbiamo partire da dove sono, non dal punto in cui ci troviamo noi o dal punto in cui sarebbe bene che arrivassero. Formulata dal versante del percorso, la domanda ha una risposta semplicissima: gli adulti sono disposti a sentire un annuncio che è vangelo, vale a dire buona notizia sulla situazione della loro vita.
Ecco il primo grande cambiamento o meglio la conversione a cui ci invitava il Convegno Ecclesiale di Verona già nel 2006: l’annuncio non può che partire dalle esperienze umane che le persone stanno vivendo per aiutare ogni adulto a prendere in mano sé stesso, scoprire le grandi domande che porta nel cuore e non sciupare la propria vita. Va sempre più maturando la coscienza che questo è terreno sacro, nel quale camminare in punta di piedi, togliendosi i calzari. Qui si sospende ogni giudizio, ogni valutazione. Ogni storia umana è storia sacra e non c’è storia sacra perfettamente lineare, senza sbagli, senza fragilità, senza dolore. La sacralità della vita viene dalla sua vulnerabilità. Visitare e accompagnare la storia delle donne e degli uomini è il più grande atto di amore. È anche il modo più bello, forse l’unico, per annunciare il Vangelo, per mostrare a tutti il dono di vita buona che esso contiene. La prima parola che viene spontaneo abbinare al cambiamento è accompagnare: dalla tentazione di indottrinare siamo passati alla consapevolezza di annunciare a partire dalla vita mettendosi a fianco di ogni uomo o donna vincendo la tentazione di catturare e imparando, nell’incontro, a sprofondare le mani nelle storie degli adulti con la convinzione che hanno molto da donarci.
La comunità cristiana, talvolta troppo concentrata sul piano oggettivo della fede, ha bisogno di questo trasloco nella storia che Dio scrive dentro la carne delle donne e degli uomini di oggi. Per viverlo diventa essenziale la relazione, il passaggio da un annuncio a una categoria “gli adulti”, ai nomi propri, da una specie di anonimato a una conoscenza personale e diretta che ci invita a vivere dei rapporti a tu per tu con le persone dove ciascuno è degno, meritevole di tutta la nostra attenzione perché ciascuno è un mondo. L’atteggiamento e i gesti di un annunciatore devono far sentire ciascun adulto atteso, portato nel cuore prima ancora di essere incontrato. Dialogo ed ascolto diventano ingredienti fondamentali.
Papa Francesco ci invita a questo apprendistato:
Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. (EG 171).
L’annuncio deve uscire da uno stile frontale dove ognuno prende quello di cui ha bisogno, dove contano le competenze, ed entrare in una relazione dove ciascun adulto si sente cercato, benvoluto, stimato, aiutato, si sente insieme a qualcun altro, chiamato a far parte di una comunità che sa narrare la misericordia e la tenerezza di Dio, Il Vangelo della salvezza che è per tutti.
Due esercizi molto semplici ci possono aiutare a leggere i cambiamenti nell’annuncio vissuti da una parrocchia. Il primo è quello di visitare senza preavviso i momenti di catechesi offerti agli adulti: la loro disposizione all’interno della stanza, il modo di porsi di chi annuncia, le loro interazioni ci potrebbero offrire dei buoni indicatori.
L’atro esercizio è quello di vedere, in Consiglio pastorale e con i catechisti, dove collochiamo tradizionalmente la proposta del Vangelo e dove, da tempo, siamo del tutto assenti. Ci accorgeremmo in quanti appuntamenti di Dio, nella vita degli adulti, la comunità ecclesiale è assente perché occupata nelle proprie proposte.
Maria Teresa Stimamiglio,
referente diocesano catechesi degli adulti