Visitare gli ammalati è accogliere l’incontro con la sofferenza e il bisogno dell’altro

Lettera diocesana 2019/01

Visitare gli ammalati: un’opera da compiere o un incontro da vivere? O meglio, un’opera di misericordia da compiere o un incontro da vivere cristianamente? Rispondendo a questa domanda, potremo davvero aiutarci a trasformare in vita il Vangelo al riguardo. Infatti, la visita ai malati ha il suo fondamento nelle parole di Gesù:

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria dirà: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché… ero malato e mi avete visitato…» (cfr. Mt 25).

Gesù dice “ero malato”, e così si presenta come malato. Poi si identifica con il malato, con ogni malato, nessuno escluso, dicendo:

«In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Sappiamo che per Gesù i piccoli sono i più sfortunati, i sofferenti, i bisognosi e questo fa sì che in ogni malato, nessuno escluso, noi possiamo vedere Gesù. E se è vero che per vedere qualcuno o qualcosa, bisogna essere “in prossimità” e avere la “visuale libera”, chiediamoci allora quanto noi desideriamo, cerchiamo e favoriamo la vicinanza con il malato, per vederlo e riconoscerlo in quanto tale. Quanto desideriamo, cerchiamo e facciamo davvero di tutto per vedere e riconoscere Gesù in quel malato? Spesso il nostro modo di pensare, avvicinare o vivere la malattia rischia di offuscare o addirittura impedire la nostra vista. La nostra paura, i nostri pregiudizi, fino anche al nostro rifiuto della malattia, possono impedirci di vedere e riconoscere il malato e in lui Gesù. Quel Gesù che ci dice: “Mi avete visitato”, affermando così che dopo “aver visto” il malato, è necessario visitarlo, cioè andare verso di lui, incontrarlo e stare con lui, per andare verso Gesù, incontrarlo e stare con lui. Andare verso il malato, prima ancora di raggiungerlo lì dov’egli è, nella sua abitazione, in ospedale, in casa di riposo, significa accettare d’incontrare e di accogliere la situazione di sofferenza e bisogno in cui si trova. Un malato ha bisogno di cure e aiuto concreto, ma soprattutto ha bisogno di solidarietà che si fa ascolto, empatia e prossimità autentiche e creative, che per un cristiano, nascono dalla propria esperienza di fede e si alimentano del rapporto con quel Gesù che il malato stesso fa conoscere e incontrare a chiunque lo visiti. Ogni visita agli ammalati, poi, prende suoni e colori diversi, implica parole, silenzi o gesti differenti, a seconda della personalità e della situazione dei protagonisti, del luogo e del momento in cui avviene l’incontro, comunque nella consapevolezza che a suggerirne i tratti, le sfumature e le tonalità più adatte è sempre quel Gesù che desidera, cerca e favorisce ogni visita a ciascun malato. Infine, il tempo del verbo che Gesù usa dicendo: “ero malato”, l’imperfetto, indica continuità, il protrarsi di una situazione nel tempo. Ed è anche il tempo che rende importante e significativa la visita agli ammalati, non tanto inteso come durata, che di volta in volta dovrebbe variare a seconda delle condizioni e dei bisogni del malato, ma il tempo come “spazio” della nostra quotidianità, desiderato, cercato, dedicato alla visita al malato, anzi al malato stesso… alla sua progressiva conoscenza, al pregare per lui, al visitarlo. Così la visita al malato è davvero il luogo e il tempo per incontrare Gesù, essere benedetti dal Padre e ricevere il suo regno in eredità.

Marta Marini, volontaria AVO