Un compito inesauribile

Lettera diocesana_Sinodale_2023/04

Come per ogni vocazione, anche quella al diaconato permanente si specifica sempre come compito che tuttavia non si esaurisce mai perché l’essenza del ministero è la continua chiamata di Dio al suo servizio.

Oggi nella nostra Chiesa locale il servizio del diaconato permanente è vissuto e interpretato prevalentemente come servizio nella parrocchia di residenza o in una parrocchia o gruppo di parrocchie o in un’unità pastorale che necessitano aiuto. Il diacono si presenta come l’uomo della mediazione e delle necessità umane da portare sull’altare e nelle celebrazioni; è il trait d’union tra chiesa e mondo, tra assemblea santa e comunità umana, liturgia e vita, spazio religioso e umano. È colui che dovrebbe far nascere, per sua intima configurazione, la consapevolezza di una chiesa tutta ministeriale protesa all’evangelizzazione e a favorire un clima più familiare e sereno nei rapporti interpersonali comunitari.

Il diacono in questa logica comunionale è accanto al presbitero, non sopra, né opposto, né competitivo, ma in azione integrativa e condivisa. Ecco come descrive un diacono la esperienza in una unità pastorale:

«Sono diacono da otto anni e nei primi sette ho svolto il mio ministero presso le tre parrocchie del comune di Vigonovo, dove risiedo. Da ottobre 2022 svolgo invece il mio servizio a 20 km da casa, presso le parrocchie di Bronzola, Fiumicello e Sant’Andrea di Campodarsego. In questo peregrinare vi leggo il dispiegarsi dell’imperscrutabile volontà del Signore che mi ha fatto provare esperienze diverse tra loro, con esiti sia positivi che negativi, i quali mi hanno fatto crescere a livello umano e spirituale, e di questo ringrazio il Signore. Certo ogni cambio di parrocchia comporta sempre un doloroso distacco dai presbiteri e dai laici con i quali si era instaurata una sincera e rispettosa amicizia. Alla tristezza, però, è poi sempre subentrata la gioia di una nuova accoglienza, specie nelle attuali tre comunità, che dal parroco fino ai fedeli finora conosciuti mi hanno accolto con grande dignità, stima, rispetto umano ed ecclesiale. Questa nuova e impegnativa esperienza, per ovvi motivi dovuti alla distanza da casa, mi chiama a interpretare il servizio diaconale in modo un po’ diverso, tale da favorire gli aspetti liturgici e pastorali in base alle necessità delle suddette parrocchie, in piena comunione con il parroco. Tutto ciò mi conferma l’importanza del diacono come uomo della “soglia” tra Chiesa e mondo, capace di costruire relazioni umane che producano proficui rapporti interpersonali e comunitari, capaci di suscitare nei laici il desiderio e la gioia di servire il Signore e la sua Chiesa» (diacono Gianni Benetollo).

Alcuni diaconi sono impegnati in uffici diocesani anche con responsabilità importanti (vedi Caritas diocesana padovana), altri svolgono invece servizi «di frontiera» in case famiglia, ospedali, case di cura, carceri, attività di solidarietà. E proprio da un diacono che opera in carcere raccogliamo questa testimonianza:

«È diffusa tra la gente la sensazione che chi è in carcere sia un privilegiato perché dopotutto non viene trattato male, nonostante quel che ha combinato e vive a carico della comunità che, pagando le tasse, contribuisce a mantenerlo. Ma in realtà ogni persona che entra in carcere viene da una condizione di fragilità con storie spesso inimmaginabili e la reclusione va solo ad aumentare la sofferenza e l’isolamento da tutti, a volte anche dalla stessa famiglia che evita ogni contatto. In luoghi come questi la Chiesa esprime il suo volto compassionevole anche attraverso i diaconi che possono vivere il loro ministero, certamente impegnativo, incontrando l’uomo ferito dal suo male e incapace di rialzarsi da solo, un uomo che non va identificato con il suo reato, ma come essere umano che fa parte di una comunità. Noi diaconi siamo chiamati a svolgere un ruolo d’interfaccia fra Chiesa e storia vivendo la prima linea della carità che si esplicita curando le ferite della sofferenza e della solitudine, cercando di restituire dignità e autostima al ristretto, senza dimenticare le famiglie. Il nostro compito è quello di curare, rialzare e guarire attraverso una vicinanza che mostra interesse, ascolto e il dialogo sereno e attento per la persona che si ha di fronte, lasciando loro un messaggio di positività e cercando di seminare fiducia e speranza nel loro cuore. Non necessariamente parlando di Dio ma rendendolo presente attraverso il nostro corpo, i nostri gesti, i nostri sguardi, le nostre parole e i nostri silenzi, cercando di mettere in pratica quanto suggerisce san Giacomo (Gc 1,19): Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare».

Vito Ometto, coordinatore della comunità diaconale di Padova