Scuole dell’infanzia: un “servizio” e una presenza da ripensare

Lettera diocesana 2019/09

La visita capillare alle circa 250 scuole cattoliche paritarie dell’infanzia presenti sul territorio della Diocesi compiuta tra il 2017 e il 2018 ha permesso di scattare una fotografia sullo stato di salute di queste realtà educative che rappresentano uno spaccato significativo delle nostre comunità e una delle forme più incisive di presenza nel territorio.

La storia remota

La storia dell’ultimo secolo ha visto proliferare all’ombra dei campanili quelli che inizialmente venivano chiamati “asili”, affidati in prevalenza alle Congregazioni religiose femminili, e poi “scuole materne” (dal 1969 con l’istituzione delle prime esperienze statali) e dal 2001 “scuole dell’infanzia”: un patrimonio di valori religiosi, sociali, culturali e un coinvolgimento, almeno iniziale, di tutta la comunità, specialmente per la costruzione degli immobili. La crescita del numero degli iscritti dovuta al boom demografico degli anni ’80 e alla massiccia scelta da parte delle famiglie di queste scuole, e per la loro qualità e anche perché spesso erano l’unica proposta sul territorio, hanno indotto le nostre comunità parrocchiali, fino alla metà della prima decade del 2000, a investire moltissimo in questo ambito, costruendo talvolta strutture superiori rispetto alle esigenze del momento e, nella maggior parte dei casi, impegnando per lustri la parrocchia sul piano finanziario.

La storia recente

Da qualche tempo le cose sono cambiate: al boom demografico si è sostituito il calo vertiginoso delle nascite; la crisi economica e occupazionale ha portato molti genitori a non usufruire più dei servizi per la prima infanzia; accanto alla scuola paritaria sono sorte scuole statali in seno agli istituti comprensivi e altre gestite da altri enti (cooperative sociali, ipab, fondazioni); di converso, in seguito alla legge sulla parità scolastica (62/2000) sono aumentate le incombenze burocratiche, le esigenze circa l’adeguamento degli spazi e dei locali, le qualificazioni del personale e le previsioni contrattuali, le richieste delle famiglie, gli standard di sicurezza: aspetti da un lato positivi perché hanno innalzato la qualità complessiva ma, dall’altro, hanno comportato dei costi enormi, senza che si potesse chiedere di più alle famiglie, già messe a dura prova dalla crisi economica. Al contempo, si è assistito a una progressiva erosione dei contributi pubblici statali, regionali e comunali, graziosi e aleatori nel quanto e nel quando. Anche a livello sociale è cambiato il clima: sempre più le famiglie iscrivono alla scuola cattolica o di ispirazione cristiana non per scelta o adesione a un progetto educativo che trae spunto dal Vangelo, ma per comodità (è la scuola più vicina) o per necessità (è l’unico servizio presente sul territorio) o per convenienza (la scuola parrocchiale ci dà più sicurezza). Il personale docente poi, con la riapertura delle assunzioni statali dal 2016, ha cominciato una vera e propria trasmigrazione, facendo perdere uno degli elementi fondamentali delle scuole paritarie, quello della continuità didattica; sono aumentate anche le tensioni tra “datore di lavoro” e dipendenti, con una crescente sindacalizzazione delle relazioni.

Sul piano pastorale, con il progressivo ritrarsi delle congregazioni o degli istituti religiosi, le comunità spesso si sono trovate impreparate ad assumersi la responsabilità della scuola: il parroco, in quanto legale rappresentante, si è visto addossare sulle spalle la conduzione di una piccola (talvolta media) azienda, dovendo così sacrificare la sua preziosa presenza pastorale; gli organismi di comunione (CPP e CPGE) sono stati investiti delle questioni concernenti il compito educativo lato sensu inteso e di quello specifico della scuola dell’infanzia solo marginalmente e nei casi di criticità; i comitati di gestione, costituiti da generosi volontari, in molti casi non sono stati in grado di far fronte al crescente emergere di questioni gestionali sempre più complesse e impellenti, nonostante i buoni uffici delle Fism provinciali e il supporto diocesano.

Saper leggere il presente: i criteri di sostenibilità

Di fronte a questo quadro, è doveroso domandarsi se abbia ancora senso (e, se sì, quale esso sia) impegnare risorse umane ed economiche delle nostre comunità per proseguire nella gestione delle scuole dell’infanzia. Dal discernimento compiuto in seno ai consigli pastorali parrocchiali si rileva un forte attaccamento alla scuola dell’infanzia, anche se motivato più da ragioni affettive e contestuali (si mantiene vivo il paese; così le famiglie non scappano; noi abbiamo frequentato quella scuola; è stata costruita dalla nostra gente), che da motivazioni pastorali ed educative. È per questo che proprio in seno agli organismi di comunione si sta cercando di avviare una riflessione più profonda che tenga conto di tre criteri di sostenibilità che si traducono in domande concrete:

  • Sostenibilità pastorale: la scuola è percepita come espressione della comunità cristiana, strumento attraverso cui accompagnare in un cammino di crescita umana e cristiana i più piccoli e le loro famiglie, strettamente connesso con la missione di annuncio e carità? Vive al suo interno la dinamica della comunità cristiana (sentimenti e atteggiamenti di stima, rispetto, accoglienza, correzione e promozione fraterna, solidarietà)?
  • Sostenibilità pedagogico-didattica: si tratta di una vera scuola, rispondente a tutte le indicazioni che provengono dalla normativa scolastica, con personale adeguatamente preparato e costantemente formato sotto tutti i profili educativi, oppure di un “asilo” inteso come luogo di accudimento o di una “ludoteca”?
  • Sostenibilità economico-gestionale: vi è un’attenta gestione che rispetti i principi contabili fissati dalla legge civile e canonica e permetta, attraverso la redazione di veritieri bilanci di previsione e consuntivi, di operare un adeguato controllo? Si è materialmente accantonato il Fondo di trattamento di fine rapporto? La scuola riesce a far fronte alle manutenzioni ordinarie e, quando possibile, partecipa anche a quelle straordinarie? Vi è una corretta politica del personale che sappia evitare sprechi ed esuberi? Viene operata una parametrazione anche prospettica, in base alle previsioni dei numeri delle future iscrizioni, tenendo conto del numero dei nati, dei battesimi e dei flussi della popolazione?

Quali sfide per il prossimo futuro?

Questi parametri possono costituire una valida griglia in base alla quale verificare la possibilità per la scuola di autosostenersi, senza gravare sulle casse della parrocchia che già mette a disposizione gratuitamente l’immobile, il servizio del legale rappresentante (il parroco) e il volontariato di tanti generosi parrocchiani. Tuttavia la riflessione deve essere effettuata non tanto e non solo a livello di parrocchia, ma a livello di territorio: se la scuola sinora ha rappresentato un elemento identitario della parrocchia, oggi deve essere ripensata come uno strumento di presenza su un territorio più vasto, sganciata dal campanile.

Trovare il coraggio per rinunciare a quelle scuole che non ce la fanno più a sostenersi da sole e quindi necessitano di essere accorpate ad altre o comunque unificate nella gestione; rinvenire nuove modalità di governance a livello locale o centrale che permettano di elevare la proposta formativa e generare convenienti economie di scala, sono le sfide più consistenti che ci stanno davanti, nella convinzione della preziosità di questo strumento educativo-pastorale, ma anche della impossibilità di continuare a tenere in piedi tutto quanto oggi esiste.

In queste scelte devono sentirsi coinvolte Diocesi, parrocchie e congregazioni religiose: si tratta di una sfida che dobbiamo saper cogliere se non vogliamo rischiare di perdere tutto per salvare tutto ad ogni costo.

don Lorenzo Celi, direttore Ufficio diocesano
di Pastorale dell’Educazione e della Scuola