Carità: il bene che fa crescere

Letteradiocesana 06/2018

Ho incontrato i cinque giovani che stanno facendo un’esperienza di servizio in alcune strutture caritative della Diocesi come parte del loro percorso di discernimento a Casa Sant’Andrea. Abbiamo fatto emergere pensieri, emozioni, desideri, modalità di approccio… abbiamo chiacchierato con semplicità e ho sperimentato una forma di sintonia che non credevo potesse verificarsi tra generazioni diverse. Il metodo è condensato nella frase che il popolo ebreo esclama di fronte a Mosè prima della stipula dell’alleanza: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Quanto a dire che l’azione precede l’ascolto, che fare un’esperienza di servizio merita fiducia e basta e che le riflessioni vanno fatte in un secondo momento. Una sola condizione iniziale ci siamo dati: un blocchetto per appunti dove prendere nota man mano per non lasciar scappare niente di quel fare che in un anno si è sperimentato.

Denis mette in rilievo gli effetti positivi sulla sua persona dell’esperienza vissuta alle Cucine Popolari:

«Tutto è stato particolarmente arricchente per me. Anzitutto perché ho avuto l’occasione di incontrare persone provenienti da molte zone del mondo: dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa dell’Est. Ho conosciuto persone che hanno meno risorse rispetto a me, ma che hanno saputo donarmi tante cose, raccontandomi la loro storia, o anche semplicemente alcuni dettagli della loro giornata, del loro paese, della loro religione, della loro vita. E poi ho scoperto (o riscoperto) qualcosa di me stesso, come la mia curiosità innata e la gioia nel trovare Dio anche e soprattutto tra chi ha meno di me».

Matteo riflette sul significato e sull’effetto dell’aiuto che si prova a dare nel Centro di ascolto Caritas:

«Non è sempre facile stare di fronte ai bisogni che le persone ti presentano: a volte cercano di “scaricare” su di te i loro problemi pretendendo che sia tu a risolverglieli, altre volte cercano anche solo un appiglio per uscire da situazioni difficili e devi fare i conti con la tua impotenza nell’aiutarle, altre ancora ti trovi tu per primo a non avere speranza che certe situazioni possano cambiare… Nella complessità propria di ogni vita, intravedere il bene per una certa persona in un certo momento non è impresa da poco, ma al di là di quel poco che sono riuscito a fare, credo sia stata prima di tutto per me una bella occasione di crescita».

Federico coglie con semplicità e profondità il cuore della carità:

«Penso che essere vicini al prossimo nei momenti più duri della vita, nei momenti in cui la sofferenza si fa sentire e la morte diviene qualcosa di meno estraneo – con cui fare i conti – mi abbia aiutato a venire a contatto con un mondo più vero che viene privato della maschera dell’invincibilità. Oggi ci ritroviamo immersi in una cultura dell’indifferenza rispetto a questi temi, quasi che certe condizioni non ci appartengano e non ci apparterranno mai. Invece a Casa Santa Chiara tutto pare più semplice, più vero; qui si impara a misurare le parole e ascoltare, qui si impara la gioia delle piccole cose e l’importanza di un sorriso. Qui si capisce quanto la carità possa essere cura e vita, quanto l’amore gratuito per il prossimo possa essere davvero medicina illimitata e inestinguibile per noi tutti». 

Anche Alessandro riconosce la bontà della sua esperienza specialmente in ordine a ciò che ha ricevuto:

«Vorrei consigliare a tutti i giovani di fare un servizio di incontro con le persone che vivono situazioni di difficoltà proprio perché attraverso di esso si ha la possibilità di entrare profondamente in contatto con la carità, ovvero quell’amore fraterno, disinteressato, smisurato che è caratteristico solo di Dio, anche se questo comunque mette alla prova. Con il passare del tempo, infatti, mi sono scontrato con dei pregiudizi che non credevo di possedere. Penso ad esempio al valore che può avere un saluto o una stretta di mano: negarli a chi mi viene incontro, anche se per chiedere solo un aiuto materiale, significa togliere dignità alla persona. Allo stesso modo ho imparato a saper dare una parola di conforto a chi ne necessitava, a essere disponibile a un ascolto gratuito, semplice e sincero. È stato anche difficile apprendere come talvolta esercitare una carità vera significhi assumersi la responsabilità di rispondere con dei “no” magari a richieste eccessive anche a livello relazionale da parte di chi incontravo nel luogo di servizio: concedere sempre ogni cosa non sempre significa aiutare il prossimo. Grazie a questa esperienza ho poi ricevuto un forte stimolo a saper dare il meglio di me in ogni occasione, a “lasciare a casa” quei sentimenti negativi con cui posso influenzare chi mi sta vicino e a non pensare il volontariato come un “fare” meccanico e ripetitivo. Aiutare il prossimo non significa solo guardare a cosa concretamente ci sia da fare per lui, ma essere anche attenti alle sue necessità morali e spirituali. A conti fatti posso dire che è proprio vero: quando doni qualcosa di te stesso in verità ricevi molto più di ciò che dai!».

Infine Stefano legge nella sua esperienza alcuni elementi utili per comprendersi nel suo cammino di ricerca:

«L’attività presso il Centro di ascolto della Caritas diocesana ha rappresentato per me un buon terreno su cui esercitare quella propensione a un ascolto umile e rispettoso che credo sia fondamentale maturare anche all’interno di un cammino vocazionale come quello che ho intrapreso. In particolare l’incontro con persone bisognose – ma non sempre e del tutto disponibili a instaurare quel rapporto sincero e trasparente che sarebbe necessario perché possa essere offerto loro un aiuto adeguato – mi ha fatto riflettere sull’atteggiamento che dovrebbe qualificare chi si approssima, come me, a importanti scelte di vita e che dovrebbe essere caratterizzato da un’apertura fiduciosa a Colui che già ci conosce e a cui non ha senso nascondersi».

Forse è superfluo aggiungere che dare sostegno ai giovani perché si misurino con esperienze di tipo caritativo è una delle strade da percorrere perché il Vangelo possa esprimere maggiormente la sua forza.

Gli adulti potrebbero trovare fruttuoso e interessante il confronto con i giovani sulla carità, una questione così concreta e ricca di conseguenze a tanti livelli. Il cammino di ricerca del popolo di Dio fatto insieme apre alle intuizioni che lo Spirito vuole suggerire alla sua Chiesa e come scrive san Benedetto nella sua Regola «tutti siano chiamati a esprimere il proprio parere, poiché spesso è al più giovane che Dio rivela la soluzione migliore».

Lorenzo Rampon, diacono in servizio alla Caritas Diocesana