Quali suggerimenti per la pastorale ordinaria?

Lettera diocesana_Sguardi 2020/07

Ad un mondo chiuso in paure e contrasti, che difende interessi di parte con muri di cinta e barriere di indifferenza, papa Francesco propone l’alternativa di un mondo aperto.

L’umanità sta distruggendo se stessa con l’ossessione di preservare interessi individuali e parziali in antagonismo con la possibilità di una felicità universale condivisa. Ha raggiunto grandi progressi storici, ma manca di «una rotta veramente umana» (FT, 29).

Il male che ci prostra è la pretesa di vivere felici negando la nostra stessa natura. Non siamo individui e per questo non possiamo affrontare la vita in modo isolato, né in pochi. Siamo persone e abbiamo «bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardar avanti» (FT, 8),

L’enciclica Fratelli tutti lancia un messaggio di salvezza all’umanità tutta e la invita a vivere in modo fraterno. Può suonare improprio ai nostri orecchi estendere all’intera umanità una categoria riservata all’intimità parentale o di fede, ma riempie di gioia palesare che la fraternità è la ricetta per lo sviluppo integrale dell’intera umanità, è il legame che ci rende tutti più umani e garantisce la pace e la giustizia del nostro vivere sociale.

Le nostre comunità cristiane fungono da giardini in cui s’impara a vivere la fraternità universale per poter essere artigiani di amicizia sociale in ogni contesto. È un allenamento continuo, per non chiuderci in forme di fraternità “nostre”, date dalla vicinanza, dall’affinità, dal credo, dal sangue, dal ceto sociale, ma restare aperti a tutti: ai lontani, ai diversi, ai credenti e non, agli stranieri, agli ultimi…

Le nostre comunità multietniche e intergenerazionali, ricche di differenze e in costante atteggiamento di discernimento, sono un modello per la società che predilige l’uniformità e ritaglia frammenti di realtà per evitare il confronto con culture e visioni del mondo differenti.

Solo nelle relazioni fraterne ci rispettiamo nelle nostre differenze e ci riconosciamo nella nostra dignità senza prevaricazioni di esclusione, né di assistenzialismo. La fraternità è la traduzione più autentica dell’apertura universale dell’amore. E, proprio perché sappiamo che solo nella carità troviamo piena realizzazione come persone e come società, non possiamo più accontentarci di procedere sui binari dell’efficienza e dell’assistenza, che producono inequità e risentimenti.

Spiegando la parabola del Samaritano, che si prende cura dell’uomo ferito e abbandonato, papa Francesco, pone un punto fermo e chiaro come la croce di Cristo: la vittima crea la fraternità. Se l’umanità non vuole illudersi di vivere e lasciare che la felicità resti un miraggio deve porsi ai margini, accanto alle persone ferite per aiutarle a risollevarsi.

In questo aiuta la franchezza di riconoscere la fragilità dell’esistenza e custodire comunità che si fanno culle di riconciliazione, che non temono il conflitto e con mitezza si adoperano per l’unità.

Le nostre comunità, premurose verso i più fragili e abitate dai poveri, posso insegnare l’alfabeto della cura alla società che arranca nella prossimità e ignora che, assistendo i poveri senza dar loro cittadinanza, si autoesclude da un pieno sviluppo.

Certo non possiamo ignorare la pervasività dello sconforto e della sensazione di impotenza che attanaglia le istituzioni civili di fronte all’insignificanza di azioni e scelte locali in un mondo globale. Le nostre comunità che, grazie alla loro presenza capillare, si adoperano caso per caso, con concretezza e insieme per il bene dei loro territori, possono offrire alla società un metodo di operatività locale in una prospettiva universale.

La passione condivisa per una comunità di appartenenza cui destinare tempo, impegno e beni, come ci ricorda l’enciclica, sgorga da sentimenti di appartenenza a una medesima umanità. Questo è proprio anche delle nostre comunità cristiane, che grazie alla tradizione di una memoria integra e luminosa, sono animate da un’appartenenza di fede che si traduce in uno slancio di corresponsabilità e di collaborazione con tutti.

Le nostre comunità sono profezia per la società e per se stesse quando accettano di vivere la fraternità universale non a parole, ma concretamente. Ed è grazie a questa profondità spirituale che si sperimentano umane ed evangeliche e, come lievito – poco, impuro e inutile da solo – possono fermentare tutta la vita sociale.

suor Francesca Fiorese, direttrice Ufficio diocesano di Pastorale sociale e del lavoro