«L’unica cosa di cui ho bisogno…»

Lettera diocesana 2019/08

«Battezzati ed inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo»: cosa può offrirci il mese missionario straordinario 2019? Spero non sia percepito come un peso in più calato dall’alto o una sorta di meteora che scompare rapidamente o, peggio, come evento ininfluente.

È l’occasione per rinnovare la gratitudine di essere stati raggiunti e amati, senza condizioni, dal primo e grande missionario, Gesù Cristo Signore.

È l’occasione per fare silenzio contemplativo, sfogliando con sentita riconoscenza il grande libro della storia delle missioni, dove grandezza e qualche meschinità, nobiltà e cadute di stile, santità e peccato si intrecciano, divenendo per grazia divina passo in avanti nella costruzione del suo Regno.

È l‘occasione per riflettere e confrontarci come Chiesa per rispondere con sapienza alla perenne validità del mandato missionario, senza sprofondare in nostalgie del passato, né scadere in lamentazioni. Con questo obiettivo un importante appuntamento triveneto è in calendario domenica 13 ottobre pomeriggio al Seminario Minore di Padova.

È l’occasione per contribuire a quell’urgente ma complesso cantiere di una svolta missionaria nella nostra pastorale ordinaria, grazie anche alle buone prassi di Chiesa in altri contesti. Volutamente il cammino formativo del Centro missionario diocesano quest’anno è in stretta sinergia con le schede offerte dalla Diocesi: dalla gioia del battesimo che ci spinge a una fraternità universale, all’essere chiesa corresponsabile e ministeriale, per essere testimoni nelle sfide di oggi, come la cura della casa comune. Come a dire, l’attenzione missionaria non è un campo a se stante ma porta il suo specifico al cammino di tutti.

In sintesi, per affrontare questo mese straordinario trovo stimolante per noi il seguente racconto-confidenza di un missionario, preso dall’ansia di fare… e ancora una volta dalla missione ad gentes giunge salutare una provocazione.

«L’avevo conosciuta un anno prima, come tanti giovani, aveva l’Aids. Con l’infermiere della Caritas siamo riusciti a ridarle un po’ di energia con alcuni farmaci. Dopo diversi anni di allontanamento da Dio e di una vita senza regole, era ritornata a partecipare alla messa della domenica per ringraziare Dio di quello che lei chiamava il miracolo della guarigione.

Ma un anno dopo, puntuale come un compleanno e senza scampo, arriva una forte crisi e lei è in fin di vita. Mi fa chiamare e mi precipito appena so che si tratta di lei. Arrivato in casa sua, non le chiedo niente, perché mi accorgo della situazione disperata. Prendo la macchina, vado al dispensario e con l’infermiere ritorno da lei. Iniezioni, flebo, pastiglie, gocce. La portiamo all’ospedale, ma anche lì ci dicono che non c’è più niente da fare. Ritornati a casa cerchiamo di fare tutto il possibile per salvarla, offriamo tutte le medicine di cui disponiamo. A un certo momento lei, che fino a quel momento non aveva detto una parola, mi guarda. Poi il silenzio. Provate a immaginarlo: un silenzio infinito, di quelli che normalmente porgono alla vita come un minuscolo boato, che diventerà un ricordo indimenticabile: “Io ti ho chiamato perché volevo confessarmi! Ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto finora, ma in questo momento l’unica cosa di cui ho bisogno è il perdono di Dio”.

È stato come prendere contatto con la realtà. Dieci minuti di confessione: un dialogo d’amore tra lei e Dio. lo l’ho ascoltata e le ho dato il dono dell’assoluzione. Solo ora lei ha chiuso gli occhi con la serenità di aver avuto quello che cercava. Dopo averle preso le mani nelle mie, ci siamo immersi di nuovo in quel meraviglioso silenzio. È passato qualche minuto e lei non respirava più: era fra le braccia di quel Dio che ha voluto incontrare a modo suo, avendo la pazienza di aspettare che il padre missionario se ne rendesse conto».

don Raffaele Gobbi, direttore dell’Ufficio di Pastorale della Missione di Padova