L’amore reciproco accoglie e accompagna il mistero

Lettera diocesana 2017/07

Nella nostra cappella, a Casa Santa Chiara, c’è un quadro dipinto da un nostro ospite, ce l’ha lasciato come segno di gratitudine. È una crocifissione molto significativa: il volto di Gesù è quello del medico che c’era allora, i tratti di Maria ai piedi della croce sono quelli di un’altra giovane ospite, Monica, che qui ci ha lasciato. È uno scambio di volti che sapientemente esprime la profonda esperienza interiore che si può vivere accanto alla sofferenza, al sofferente, in prossimità della morte. In quelle fasi di terminalità della vita, degli affetti, dove domande e dubbi si accompagnano a gratuità, verità della persona e deposizione delle maschere, sono i piccoli gesti che dicono una reciprocità di bene che aiuta e sostiene chi soffre e se ne sta andando, ma anche chi assiste, i famigliari e gli amici. Quel quadro, nella sua bellezza e originalità, è il simbolo dell’esperienza di vita che noi suore, operatori e operatrici viviamo qui a Casa Santa Chiara, e continua a parlare a chi lo osserva e medita: il Cristo non è appeso alla croce ma a delle sbarre, quelle prigioni che sono le croci della vita (malattia, abbandono, desolazione, paura, morte…). Ai piedi c’è Maria-Monica, nel suo volto l’amore, la tenerezza, la compassione, il pianto, il calore. In questo Crocifisso c’è, per noi, l’incarnazione più piena del mistero della croce, del dolore, della morte, che ha i nostri volti, i volti degli ospiti; nel crocifisso ogni malato si può riconoscere, ma il suo è il volto del Cristo-medico. In Maria c’è la vita e lo specchio di tanti che si offrono – volontariamente, per servizio, e professionalmente – per donare cura, alleviare le sofferenze, accompagnare la fatica di chi è imprigionato alle sbarre di un letto, di un corpo che si consuma… Ai piedi, la maschera deposta. Perché di fronte al dolore e alla morte l’uomo e la donna sono “nudi”, autentici, senza filtri; c’è una consegna di sé in totale verità.

Quotidianamente tocchiamo il dolore, la prossimità a quella soglia che determina un’assenza, un vuoto… Quotidianamente sperimentiamo la fatica dei perché, ma anche la grandezza di un amore che conforta, aiuta, sostiene, accompagna, ti chiede verità. E quotidianamente scopriamo la preziosità della reciprocità dell’amore: di fronte al dolore “totale” (fisico, spirituale, morale, sociale, familiare…), la vera forza è la reciprocità del sostenersi, ciascuno per la sua fragilità nella sofferenza vissuta nella propria carne, o nella difficoltà della vicinanza al malato, nella fatica di avvicinarsi alla morte… diventiamo un “pallio” (cure palliative non a caso deriva da “pallio-mantello”), che abbraccia, che ci sostiene tutti e non lascia scivolare nell’angoscia totale. L’amore che circola qui è fatto di piccoli gesti di attenzione e di cura. Ci accompagna la consapevolezza che non siamo padroni di niente e di nessuno, ma siamo solo accompagnatori gli uni degli altri. La fragilità della vita è palpabile, quanto il mistero della morte, e qui cogliamo la concretezza del Vangelo, di un Dio che si fa carne, che si adatta alle nostre vite, le abita e che ci chiede di accompagnare il fratello e la sorella nel loro “ultimo miglio”. Qui si fa vita l’invito di Gesù – «Se uno ti costringe ad accompagnarlo per un chilometro, tu va con lui per due chilometri» – che diventa un invito a “stare vicino”, in silenzio o con un gesto, in umiltà e umanità. Allora l’amore vince la morte? No, l’amore non vince la morte, l’amore accoglie il mistero, gli sta vicino, lo accompagna, si inginocchia di fronte alle fragilità di ciascuno, le riconosce e le rispetta, con delicatezza, tenerezza. L’amore sta vicino, come Maria ai piedi della Croce, come Gesù-medico che vive per primo le nostre sofferenze.

Le suore francescane elisabettine e l’équipe di Casa Santa Chiara