L’amore del Cristo ci possiede

Lettera diocesana_Sguardi_2021/07

O  Dio, Padre di tutti gli uomini,

per te nessuno è straniero,

nessuno è escluso dalla tua paternità;

guarda con amore i profughi, gli esuli,

le vittime della segregazione

e i bambini abbandonati e indifesi

perché sia dato a tutti

il calore di una casa e di una patria,

e a noi un cuore sensibile e generoso

verso i poveri e gli oppressi.

 

Con afflato, pieno di forza e dolcissima carità, la Chiesa prega per i profughi e gli esuli (cfr. Messale Romano 2020, Messe e orazioni per varie necessità, p. 897, n. 32) offrendoci tra i testi per la celebrazione dell’eucaristia questa luminosa colletta, la prima delle orazioni del formulario di questa messa.

Il tempo presente – non senza dimenticare le complessità sociali, culturali, economiche e religiose che lo caratterizzano – soffre una reazione quasi epidermica a espressioni come profugo, esule, migrante… caricandole frequentemente di un non sempre motivato colore partitico politicizzato.

La Chiesa, che vive nel mondo pur senza lasciarsene dominare, guarda invece ogni uomo e ogni donna con intelligenza e carità, sapendo che sempre è necessario discernere ma, allo stesso tempo, sempre è necessario amare.

Resta chiaro pertanto che la Chiesa celebrando l’eucaristia per quanti sono costretti ad abbandonare la loro terra – e tra questi anche molti cristiani di antiche Chiese orientali che stanno sparendo dalle terre Medio Oriente contemporaneo –, riconosce la tentazione sempre in atto nella storia di sostituire il cosmo con la babele umana (cfr. Gen 11,1-9) e per questo invoca dalla stessa eucaristia, mistero di comunione con la Pasqua di Cristo, la forza profetica perché i credenti siano il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (cfr. Lumen gentium, 1).

L’orazione, come si può notare, da una parte si rivolge a Dio («Padre di tutti gli uomini, per te nessuno è straniero, nessuno è escluso dalla tua paternità; guarda con amore i profughi, gli esuli, le vittime della segregazione e i bambini abbandonati e indifesi») perché manifesti il suo amore verso coloro che sono vittime di ogni segregazione, guerra o persecuzione con la sua bontà; per analogia – vibrando sulla stessa corda spirituale – così recita anche la colletta della messa «Per i migranti» (cfr. Messale Romano 2020, Messe e orazioni per varie necessità, p. 898, n. 32) che attraversano le vie del mondo alla ricerca di dignità e giustizia. La medesima orazione, dall’altra parte, si rivolge sempre a Dio per chiedere che il suo amore si manifesti anche per muovere i credenti ad avere cuore sensibile e generoso verso i poveri e gli oppressi: già l’apostolo Paolo ci ammoniva dicendo che «l’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2 Cor 5,14-15). L’amore cristiano non è un “dovere” o un impegno quanto piuttosto un’esondazione dello stessa vita divina che viene ad abitare in noi, che ci possiede, che ci spinge ad amare. Per questi poveri erranti sulle strade del pianeta e attraversati da dubbi, paure, contraddizioni e forse anche da qualche scaltrezza, spesso generata dalla miseria, dall’ignoranza, dalle ristrettezze o dalla disperazione, la Chiesa non offre l’eucaristia per “ricordare” loro, per “aiutare” loro con una preghiera speciale, ma al contrario perché noi, proprio noi che generalmente viviamo nella prosperità e nella pace, abbiamo a lasciarci attraversare dall’amore… La forza di soccorrere i fratelli più poveri non nasce da un impegno che assumiamo ma dalla grazia del Vangelo, dal fuoco della carità divina, dall’ardore esondante di Cristo crocifisso sepolto e glorificato che è l’eucaristia nei secoli dei secoli.

don Gianandrea Di Donna, direttore Ufficio diocesano per la Liturgia