La cura dell’altro avvicina a Dio

Lettera diocesana 2018/05

Il Dio in cui credo è un Dio concreto che abita la nostra umanità. Dio Padre ha ascoltato il grido del popolo d’Israele (ct Es 3, 7-10) e si è preso cura di lui liberandolo dalla schiavitù di Egitto e conducendolo alla terra promessa.
Dio Spirito ha abitato il corpo di una vergine rendendola madre di Cristo (ct Lc 1,26-38).
Dio Figlio, nato da una vergine e vissuto dentro la storia umana, si è preso cura degli uomini che gridavano a Lui la loro sofferenza toccando e sanando le parti dei loro corpi malati (ct. Mc 1,40-45, Lc 18,40-41 ecc.).
Questo è il Dio in cui credo. Questo Dio mi ha fatto il dono della vocazione alla vita religiosa. In 34 anni di vita consacrata ho avuto la grazia di stare accanto a persone vulnerabili. Persone che tante volte l’indifferenza rende invisibili, quasi non avessero un corpo.
Ho lavorato e vissuto tre anni all’OPSA, dove ho imparato il linguaggio del corpo. Le persone che ho incontrato in quel luogo mi hanno insegnato che quando non sai dire i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti con le parole puoi esprimerli con il corpo. Ho imparato che toccare un corpo in modo frettoloso o nervoso non è la stessa cosa che toccarlo con calma e tenerezza, perché il messaggio che arriva all’altra persona è diverso a seconda di come tocco il suo corpo, come opposte possono essere le sensazioni che provoco: accoglienza, rifiuto, cura, indifferenza, valore, affetto.

Dopo l’OPSA ho vissuto in due comunità educative per minori (Opera Casa Famiglia, Fondazione della Diocesi di Padova, e Bettini, struttura delle suore Elisabettine sita a Ponte di Brenta). I bambini e le bambine incontrati in comunità mi hanno insegnato che il nostro corpo ha memoria di come siamo stati toccati nei primi mesi e anni dalle persone che avevano il compito di prendersi cura di noi. Il corpo ricorda anche le esperienze negative che la mente per autodifesa ha rimosso. In comunità ho imparato a essere molto attenta a come toccavo un bambino perché sapevo che potevo riportare violentemente alla memoria esperienze di abuso vissute quando era piccolo.

In questo tempo ho la grazia di prestare servizio alle Cucine economiche di Padova, dove nuovamente mi è chiesto di prendermi cura di persone che portano nel corpo i segni della loro vita, di una vita ai margini. Corpi stanchi perché non hanno un luogo dove poter riposare. Corpi affamati di pane. Le persone che incontro alle Cucine mi stanno insegnando che non è sufficiente sfamare la fame fisica, ma c’è una fame che è molto più profonda e chiede di essere saziata. In questo mio oggi sto imparando che un piatto caldo dato in modo distante, distratto, sazia meno di un piatto offerto guardando negli occhi la persona, sorridendole e – se possibile – chiamandola per nome. Queste semplici attenzioni danno alla persona che ho di fronte la consapevolezza di esistere e la strappano al suo essere invisibile. In quel momento la persona può dire: io esisto!

Mi nasce spontaneo un grazie alle persone di ieri, che ho incontrato all’OPSA, nelle comunità per minori, e a quelle di oggi, che incontro ogni giorno alle Cucine economiche popolari perché attraverso la cura che rivolgo loro mi permettono di stare vicina a Dio.

sr Albina Zandonà, direttrice Cucine economiche popolari

Nella foto: Rose rosse per te di Francesca Dafne Vignaga