Il vescovo, nostro pastore

Lettera diocesana 2018/07

Nella vita della Chiesa è molto frequente, anche tra i fedeli, l’uso del sostantivo “pastorale” o degli aggettivi da esso derivati; così come nel riferirsi al vescovo e ai presbiteri suoi collaboratori, si usa il termine biblico “pastori”. Questo linguaggio esprime, ispirandosi alla notissima immagine biblica del pastore che guida con amore le sue pecore, la necessità di condurre e orientare la vita della Chiesa nelle sue principali attività e – più precisamente – l’opera di evangelizzazione che si realizza con l’annunzio del Vangelo, la celebrazione dei santi misteri e la carità fraterna. Anche quando il vescovo, pastore di una Chiesa diocesana, si reca a visitare le parrocchie della porzione di territorio a lui affidato – che chiamiamo Chiesa (o Diocesi) – si è soliti usare il termine “visita pastorale”, volendo indicare con questa espressione la sollecitudine del vescovo verso tutti i credenti di cui egli si fa carico, come “primo” tra i fratelli nella fede. Se dunque sappiamo che il vescovo si pone a capo della Chiesa, la ammaestra e la guida, dall’altra parte dobbiamo sapere anche che ciò egli non lo realizza secondo lo spirito del mondo. Ci aiuta nella comprensione un passaggio del testo liturgico (che porta il nome di Preghiera di ordinazione episcopale) che il vescovo canta quanto ordina un nuovo vescovo, consacrandolo al servizio della Chiesa; esso, con grande magnificenza, così recita:

 

Effondi ora sopra questo eletto

la potenza che viene da te, o Padre,

il tuo Spirito che regge e guida:

tu lo hai dato al tuo diletto Figlio Gesù Cristo

ed egli lo ha trasmesso ai santi Apostoli

che nelle diverse parti della terra

hanno fondato la Chiesa come tuo santuario

a gloria e lode perenne del tuo nome.

 

Le parole stesse si ispirano a un antichissimo scritto della Traditio apostolica di Ippolito (215 circa) e presentano i tratti tipici della sobrietas romana, scarna ed essenziale nel linguaggio, quasi severa nella forma rituale. Dopo il Concilio Vaticano II, si volle ricuperare questo venerando testo liturgico per meglio esprimere i tratti del ministero episcopale, presenti in questa arcaica prospettiva e legati all’idea di Vescovo come successore degli apostoli e segno di Cristo capo della Chiesa.

Si comprende bene come l’immagine del pastore non vada ristretta a una semplice prospettiva di “attenzione”, di umana “cura” per il gregge: il vescovo è pastore per virtù dello Spirito di Dio, perché attraverso la sua persona sia lo stesso Spirito a guidare e reggere la Chiesa. L’autorità pastorale che il vescovo ha nei confronti del popolo di Dio lui affidato, è la stessa di Cristo e degli Apostoli e, quanto stiamo dicendo, possiamo pienamente comprenderlo in una prospettiva di fede. Si tratta di riconoscere che il Signore Gesù non ha abbandonato la Chiesa a se stessa ma sempre la guida e la sorregge e, come in tutto il mistero cristiano, lo fa attraverso e dentro “la carne degli uomini”. Oggi nel vescovo Claudio che si dispone a visitare la Chiesa di Dio che è in Padova – e in senso cattolico guardando a tutta l’opera di trasmissione della fede da Prosdocimo fino a Claudio – siamo chiamati a riconoscere la presenza, seppure nel mistero, del Pastore grande delle pecore, il Signore Gesù che non cessa, tra le vicende del mondo, di reggere, sostenere e guidare la Chiesa che gli appartiene.

don Gianandrea Di Donna, Ufficio per la Liturgia