Il nome fa la differenza nel nostro vivere il territorio

Letteradiocesana 2019/04

Leggo e rileggo i rapporti sulla popolazione mondiali e i rapporti sulle povertà, le statistiche sulla partecipazione ai sacramenti e le percentuali delle nascite, cifre importanti che mi dicono quanto il mio territorio sia un fetta di terra incuneato in un mondo che sta cambiando volto, sta evolvendo.
Sì mi accorgo di non conoscere, non conoscere gli anziani e le loro problematiche, ma conosco Silvia che da anni non esce dal suo appartamento al terzo piano perché come dice lei: «ho perso le gambe». Le gambe le ha e tutte e due ma non la reggono più in piedi, non riesce più a fare le scale, ma ancora riesce ad arrivare alla porta e aprirla e preparare il caffè, se solo ci fosse qualcuno dalle gambe buone che salisse le sue scale e suonasse al suo campanello, ma da anni non vede più nessuno.

Mi rendo conto di non conoscere la povertà, ma conosco Sandro che mi fa vedere le sue scarpe bucate che imbarcano acqua e non ce la fa a stare in strada per procurarsi un tozzo di pane, specialmente quando piove: «ho i piedi sempre bagnati». Ci vuole un po’ di tempo per portarlo da un calzolaio per comperargli un paio di scarpe che gli calzino bene, che siano impermeabili e calde, piuttosto di rifilargli un paio di recupero.

Non conosco i migranti e le loro abitudini e i loro intenti, ma conosco Adnan, la sua storia, la sua voglia di vivere e il desiderio di farsi un avvenire, i suoi entusiasmi e le sue pigrizie, la bellezza e l’impegno di crescere insieme.

Non conosco la crisi delle famiglie, ma conosco Antonio e la sua sposa Giancarla che ogni giorno si alzano di buon mattino e motivano i loro figli ad andare a scuola e loro stessi alle volte dubitano sul loro avvenire, ma non mollano, vivono bene l’oggi per preparare un domani migliore.

Non conosco i preti stranieri e perché vengono qui a studiare, ma conosco padre Marlon, l’amore per la sua Chiesa e la nostalgia della sua casa, l’impegno che ci mette ogni giorno nell’andare all’università per poter ritornare preparato nella sua patria. Conosco il suo silenzio carico di interesse nell’ascoltarmi quando mangiando riverso anche sul suo piatto qualche problema che non gli appartiene, ma volentieri lo condivide.

Non conosco i divorziati, ma conosco Andreina che è stata lasciata dal marito perché non se la sentiva più di condividere con lei la vita. E lei con il sorriso sulle labbra e la speranza nel cuore accompagna il piccolo a diventare un uomo capace di credere nell’amore e nelle persone.

Non conosco i senza fissa dimora, ma conosco Jacopo, Nicola, Umberto… che ogni sera arrivano stanchi e infreddoliti ma contenti nel sapere che per loro si apre una porta e al di là di quella porta ci sono Stefano, Andrea, Valeria… che li stanno aspettando per offrire gratuitamente un sorriso, un pasto, un letto.

Non conosco gli orfani, ma conosco il piccolo Giulio che quando mi vede mi corre incontro e si attacca alla gamba e la strige forte forte e mi dice: «assomigli molto al mio papà che è con Gesù».

Non conosco questi giovani di oggi, ma conosco Marco che non sa quale scuola scegliere dopo la terza media, Angela che sta vivendo la sua prima cotta e rischia di tagliare con la famiglia e anche con le amiche per “colpa” di Simone; Lorenzo che è un asso nel gioco del calcio, ma sputa sangue per portare a casa un voto discreto e per questo spesso è nervosetto; Domenico che sogna a occhi aperti… e a chi me lo permette abito i loro smarrimenti.

Quanta precarietà e quanta ricchezza nella nostra periferia: giovani e adulti che si adoperano per incontrare i ragazzi nelle loro solitudini e nella loro esigenza di stare insieme; per condividere intuizioni, momenti di fraternità e una sana competizione nello sport.

Oggi il tavolo delle associazioni promosso dall’amministrazione comunale, raccoglie molteplici energie positive che permette alla nostra periferia di contrastare alcune povertà proponendo il bello e il bene che è insito in alcune esperienze ludico, sportive e culturali.

I centri parrocchiali occupati sempre più a diventare semplici ma efficaci scuole di carità, di giustizia dove trovano casa i figli della nostra terra, e i senza fissa dimora e le persone migranti possono trovare un luogo accogliente e familiare.

Parlare oggi di periferia significa dire opportunità di vivere una globalizzazione inclusiva dove il vivere quotidiano è arricchirsi di stimoli relazionali forti che se li chiamiamo per nome e impariamo a conoscerli, ci permettono di vincere e abbattere le nostre barriere difensive e paralizzanti.

don Daniele Marangon, parroco del Sacro Cuore di Gesù in Padova