Da vedere 2019/04

DOGVILLE

di Lars Von Trier
Metafora, 135min

La giovane Grace arriva a Dogville, una cittadina sperduta tra le Montagne Rocciose, là dove la strada finisce vicino all’ingresso di una miniera abbandonata. Grace è in fuga, inseguita da un gruppo di gangster. La piccola comunità di Dogville, riunitasi intorno a Tom autonominatosi portavoce, decide che Grace può restare per due settimane, dedicandosi a lavori domestici che le permettano di guadagnare qualcosa e mantenersi. Un giorno la polizia arriva a Dogville e affigge il poster di una persona ricercata: è Grace, e allora i cittadini cambiano atteggiamento. Ora Grace non solo è costretta a lavorare a tempo pieno ma subisce angherie e rimproveri. Inoltre Jack le tocca la gamba e Chuck si approfitta di lei nel frutteto. Tom (che ne è innamorato) convince Grace a scappare da Dogville con l’aiuto del camionista Ben. Ma costui, invece di condurla giù dalla montagna, la riporta in paese, rivelando a tutti la fuga. Per evitare nuovi tentativi, viene deciso che Grace debba essere legata con il collare del cane Moses. Temendo allora un cambiamento di umore dei suoi concittadini, Tom non esita a telefonare ai gangster per segnalare la presenza della donna. Quello che succede dopo, Tom non poteva prevederlo. Sulla Cadillac che arriva in paese insieme ad altre macchine, c’è il capo della banda, che è anche il padre di Grace. Dopo un colloquio tra loro due, la soluzione viene decisa…

Il regista Lars Von Trier commenta: «”Dogville” è ambientato in America, ma è solo l’America come la vedo io… Non è né un film scientifico né un film storico. È un film che suscita emozioni. Si tratta degli Stati Uniti, ma potrebbe trattarsi di una qualsiasi piccola città ovunque nel mondo. Ovviamente non è la verità, perché non sono mai stato in America… Ho imparato quando ero piccolo che se sei forte devi anche essere giusto e buono, e non mi sembra che sia così in America… L’idea di Grace messa completamente nelle mani della gente del posto spiega che se tu ti presenti agli altri come dono, potrebbe essere pericoloso. Il potere che questo dà alla gente, li corrompe…».

Concepito come il primo film di una trilogia dedicata agli USA, Dogville è girato interamente all’interno di uno studio a Copenaghen, dove è stata ricostruita la cittadina ma senza gli edifici: solo mobili, segni di finestre, strisce per terra, in una simbologia che volutamente evita gli spazi chiusi. Dogville vive all’aperto, la comunità guarda se stessa e tutta insieme osserva la nuova arrivata. Se il primo approccio è improntato all’accoglienza, ben presto la solidarietà svanisce per lasciare il posto a paure, egoismi, bugie. Dogville non è stata capace di accogliere Grace (la Grazia), e la donna si vendica in modo estremo. Parabola amarissima sulla difficoltà di mantenere vivi nella società i sentimenti migliori, il racconto è condotto da von Trier con asciutta drammaticità risolta in passaggi anche fortemente lirici. Temi di spiccata valenza etica quali il sacrificio, la vendetta, l’amore impossibile, la costruzione di una società a misura di tutti sono affrontati ancora una volta dal regista danese con il suo piglio arguto e caustico, spiazzante, quasi sempre portatore di una visione del mondo toccata da brividi di disperata vitalità. Metafora storico- sociale-spirituale, il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come discutibile, certamente complesso e adatto per dibattiti (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film della CEI).


THE FRONT RUNNER

di Jason Reitman
Biografico – drammatico, 132min

Gary Hart, senatore del Colorado e grande favorito per le elezioni presidenziali americane del 1988 per il Partito Democratico, viene messo sotto accusa per la sua relazione extraconiugale, che mina la corsa elettorale…

L’argomento “elezioni presidenziali” è certamente tra i più frequentati tra cinema e televisione in America. Proprio, va precisato, il periodo in cui ci sono i candidati e c’è un’opinione pubblica che deve ancora esprimersi.

E quindi non i presidenti già eletti e il loro comportamento alla Casa Bianca, ma il periodo precedente in cui si decidono le sorti della competizione. Per capirci, non il recente “vice” ma quello che capita un passo prima. E che è appunto successo a Gary Hart, senatore dalla vita limpida e pulita, che per aver ceduto a una tentazione, si trova messo sotto accusa per adulterio.

Si tratta di un terreno in America particolarmente infido e pericoloso, nel quale il rischio non è tanto quello della colpa in senso moralistico, quanto del rapporto tra il vero e la menzogna.

In tal senso il momento centrale è quello in cui il giornalista chiede a Hart se abbia o no commesso adulterio. E la risposta è: La domanda è scorretta. I fatti dicono che messo alle strette, Hart ritirò la candidatura, dando in pratica via libera alla strada che portò alla Casa Bianca George H.W. Bush.

Ma la decisione non fa di Hart un pusillanime indeciso, anzi conferma la sua volontà di mettere un punto fermo nel dibattito tra vita pubblica e privato. Reitman semmai mette in mostra un giornalismo assatanato in cerca di scoop e di vittime da sbranare, anche a costo di calpestare la verità.

Non per fare di Hart un martire, ma per dire che il contorno è quanto di più velenoso ci potesse essere e il periodo di un giornalismo dedito al controllo delle fonti (tipo Washington Post) era ormai finito. Quella di Hart è una parabola esemplare non più ripetuta perché la politica (americana) si è fatta più cinica e meno desiderosa di controlli.

Reitman governa il soggetto con scrupolo, attenzione e severità di giudizio.

Film nervoso e intenso, che dal punto di vista pastorale è complesso, problematico e adatto per dibattiti (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film della CEI).