Da vedere 2017/07

DEPARTURES

di Yojiro Takita
genere: drammatico , 125′

Scioltasi l’orchestra nella quale suonava il violoncello, il giovane Daigo insieme alla moglie Mika lascia Tokio e si trasferisce in campagna. Qui, letto un annuncio per un lavoro di aiutante, si presenta e, dopo appena uno sguardo, Sasaki, titolare dell’agenzia, lo assume. A questo punto Daigo scopre che il suo lavoro avrà a che fare con la preparazione cerimoniale dei corpi prima della cremazione. Alla moglie, Daigo dice che il suo compito riguarda l’allestimento di cerimonie e intanto comincia a viaggiare nella regione e a fare esperienze del tutto impreviste. Quando Mika scopre la verità, gli chiede di lasciare quell’incarico e, di fronte al suo rifiuto, lascia la casa per tornare a Tokio. In realtà Daigo, incerto e titubante all’inizio, ora capisce l’importanza di quel lavoro di “preparazione” ed è ben deciso a non rinunciare. Sul finire dell’inverno, la mamma di un suo carissimo amico muore; la moglie ritorna e lui riceve la notizia della scomparsa del padre, con il quale non si vedeva più da almeno 30 anni e che ora può riabbracciare. Mika inoltre è incinta e la prospettiva di diventare, a sua volta, padre porta a Daigo gioia e commozione.

In giapponese si chiama “nokanshi”, ossia preparatore di corpi (lavarli, vestirli, truccarli, profumarli) per una ditta di pompe funebri. Si tratta di un rito che richiede molta grazia, una cerimonia fatta di piccoli gesti e di movimenti leggiadri: in Giappone un culto millenario, fuori un qualcosa da conoscere, capire, apprezzare. Mettendo al centro della storia un tema arduo come quello della morte, il copione lo svolge in un’ottica del tutto originale e, per più motivi, imprevedibile: perché Daigo, il protagonista, cresce a poco a poco nella consapevolezza di un lavoro scelto all’inizio per caso e quasi controvoglia; perché l’impegno a onorare il defunto e a rispettare il dolore dei congiunti diventa lezione di vita per se stesso e la propria situazione; perché il mistero della morte del corpo diventa viatico per una maggiore apertura verso il rispetto della vita e l’equilibrio tra la natura e l’essere umano. Pur lavorando su nobili e antiche tradizioni nazionali, il regista riesce a comporre uno spartito dal respiro ampio e senza limiti geografici, unendo la musica che il giovane suona e che perde per la chiusura dell’orchestra, a quella dell’aria e degli spazi, del volgere delle stagioni, del dipanarsi dei sentimenti: raggiungendo momenti di impalpabile umanità dentro una vita vissuta nella pienezza degli affetti. Parabola delicata e toccante, il film si segnala per la capacità di dire cose importanti con tono piano e quasi colloquiale, mai urlato né polemico e, dal punto di vista pastorale, è da valutare come raccomandabile e certamente poetico (a cura della Commissione nazionale valutazione film CEI).