Da leggere e da vedere 2017/07

Da leggere 07/2017

L’ULTIMA BEATITUDINE

Alberto Maggi, L’ultima beatitudine. La morte come pienezza di vita, Garzanti, 2017, pp. 150, 15,00 euro

In questo volume Alberto Maggi affronta, con il suo stile sempre gioioso, il difficile argomento della morte, uno dei grandi tabù della nostra società. L’autore offre parole ricche di serenità e speranza, lontane da quell’inesauribile repertorio di frasi fatte che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, anche quando vengono da uomini di fede. Grazie a queste pagine è possibile comprendere e accogliere l’aspetto naturale della morte, per renderla davvero una sorella come poeticamente suggeriva san Francesco, una compagna di viaggio nell’esistenza dell’individuo. In questa prospettiva viene scacciato tutto ciò che può deprimere o rattristare, permettendoci così di vibrare in un crescente, pieno accordo con quella grande sinfonia che è la vita.

L’autore. Alberto Maggi, frate dell’ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici “G. Vannucci” a Montefalco (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.


IMPARÒ DAL DOLORE

Valentino Salvoldi, Imparò dal dolore. La sofferenza come opportunità, Città Nuova Editrice, 2017, pp. 168, 14,00 euro

Cristo “apprende dal dolore che cosa significhi essere uomo”. Non viene sulla terra a dare una spiegazione alla sofferenza, ma a prenderla su di sé, a darle un significato, a trasformarla in grandezza, in opportunità, in un tentativo di squarciare il cielo con un urlo. E il cielo non rimane muto. Risponde. Fa comprendere al credente che l’ultima parola non è mai la morte. L’ultima parola è sempre: Amore. Questi i messaggi del teologo Valentino Salvoldi che – alternando, con parole semplici e profonde allo stesso tempo, l’esegesi alla teologia narrativa – ci aiuta ad amare quel Dio che si nasconde e tace perché l’essere umano si manifesti, possa parlare ed entrare nel mistero. E imparare che la croce non si spiega, si adora.

L’autore. Valentino Salvoldi, già docente di filosofia e teologia morale all’Accademia Alfonsina di Roma e in varie facoltà teologiche in Africa, America Latina e Asia, è incaricato dalla Santa Sede per la formazione del clero delle giovani Chiese. È fondatore di “Shalom”, un’organizzazione non lucrativa avente come finalità la crescita morale e culturale dei giovani in Italia e nei Paesi impoveriti.


I NARCOS MI VOGLIONO MORTO

Alejandro Solalinde, I narcos mi vogliono morto. Messico, un prete contro i trafficanti di uomini (prefazione di Luigi Ciotti), EMI, 2017, pp. 160, 15,00 euro

«Plata o plomo»: soldi o una pallottola. Ogni anno in Messico transitano mezzo milione di migranti indocumentados che dal Centroamerica in preda alla violenza tentano di raggiungere gli Stati Uniti in cerca di un futuro migliore. Sulla loro strada trovano la ferocia dei narcos, banditi che – oltre a far soldi con la droga – si arricchiscono sulla pelle dei migranti grazie a rapimenti, traffici di organi, schiavismo e prostituzione. Alejandro Solalinde non è rimasto a guardare. Dopo una vita da prete “normale”, ha iniziato ad aprire le porte del cuore e di casa agli stranieri che cercavano un rifugio, un pezzo di pane, una parola di conforto. Padre Alejandro non ha taciuto: ha denunciato i soprusi dei trafficanti, le connivenze della politica, la corruzione della polizia. I narcos gliel’hanno giurata: sulla sua testa pende una taglia di un milione di dollari. Di qui le minacce, i tentati omicidi, una scorta di quattro uomini per difendere un uomo che difende gli indifesi.

L’autore. Alejandro Solalinde, sacerdote messicano, ha fondato nel 2007 “Hermanos en el Camino”, un centro di aiuto per i migranti diretti negli Stati Uniti. Ha ottenuto diversi riconoscimenti per il suo impegno, come il Premio nazionale per i diritti umani. Più volte è stato minacciato di morte dai “cartelli” dei narcotrafficanti perché ne denuncia senza timori soprusi e violenze. Diverse associazioni hanno avanzato la sua candidatura al Nobel per la pace.


Da vedere 07/2017

DEPARTURES

di Yojiro Takita
genere: drammatico , 125′

Scioltasi l’orchestra nella quale suonava il violoncello, il giovane Daigo insieme alla moglie Mika lascia Tokio e si trasferisce in campagna. Qui, letto un annuncio per un lavoro di aiutante, si presenta e, dopo appena uno sguardo, Sasaki, titolare dell’agenzia, lo assume. A questo punto Daigo scopre che il suo lavoro avrà a che fare con la preparazione cerimoniale dei corpi prima della cremazione. Alla moglie, Daigo dice che il suo compito riguarda l’allestimento di cerimonie e intanto comincia a viaggiare nella regione e a fare esperienze del tutto impreviste. Quando Mika scopre la verità, gli chiede di lasciare quell’incarico e, di fronte al suo rifiuto, lascia la casa per tornare a Tokio. In realtà Daigo, incerto e titubante all’inizio, ora capisce l’importanza di quel lavoro di “preparazione” ed è ben deciso a non rinunciare. Sul finire dell’inverno, la mamma di un suo carissimo amico muore; la moglie ritorna e lui riceve la notizia della scomparsa del padre, con il quale non si vedeva più da almeno 30 anni e che ora può riabbracciare. Mika inoltre è incinta e la prospettiva di diventare, a sua volta, padre porta a Daigo gioia e commozione.

In giapponese si chiama “nokanshi”, ossia preparatore di corpi (lavarli, vestirli, truccarli, profumarli) per una ditta di pompe funebri. Si tratta di un rito che richiede molta grazia, una cerimonia fatta di piccoli gesti e di movimenti leggiadri: in Giappone un culto millenario, fuori un qualcosa da conoscere, capire, apprezzare. Mettendo al centro della storia un tema arduo come quello della morte, il copione lo svolge in un’ottica del tutto originale e, per più motivi, imprevedibile: perché Daigo, il protagonista, cresce a poco a poco nella consapevolezza di un lavoro scelto all’inizio per caso e quasi controvoglia; perché l’impegno a onorare il defunto e a rispettare il dolore dei congiunti diventa lezione di vita per se stesso e la propria situazione; perché il mistero della morte del corpo diventa viatico per una maggiore apertura verso il rispetto della vita e l’equilibrio tra la natura e l’essere umano. Pur lavorando su nobili e antiche tradizioni nazionali, il regista riesce a comporre uno spartito dal respiro ampio e senza limiti geografici, unendo la musica che il giovane suona e che perde per la chiusura dell’orchestra, a quella dell’aria e degli spazi, del volgere delle stagioni, del dipanarsi dei sentimenti: raggiungendo momenti di impalpabile umanità dentro una vita vissuta nella pienezza degli affetti. Parabola delicata e toccante, il film si segnala per la capacità di dire cose importanti con tono piano e quasi colloquiale, mai urlato né polemico e, dal punto di vista pastorale, è da valutare come raccomandabile e certamente poetico (a cura della Commissione nazionale valutazione film CEI).