“Contatti” con-tatto

Lettera diocesana 2020/04

Alcune semplici raccomandazioni per contenere il contagio da coronavirus

Lavati spesso le mani con acqua e sapone o usa un gel a base alcolica

Evita contatti ravvicinati e mantieni la distanza di almeno un metro

Evita luoghi affollati

Non toccarti occhi naso e bocca con le mani

Evita le strette di mano e gli abbracci…

 

Contatti: come si fa a parlare di “contatti” nel tempo del “contatto vietato”? E ancora peggio, come si fa a mantenere i contatti nel tempo del contatto vietato? Basta davvero una piattaforma di comunicazione? Che cos’è un contatto? Qual è la prima cosa che a ciascuno viene in mente di associare a questa parola? Testo in prima persona l’esercizio: “contatto” evoca in me d’istinto l’espressione con-tatto, fragile, maneggiare con cura; ma nel tempo dell’assenza il “maneggiare” ossia l’atto dato per scontato del poter “toccare” qualcosa o qualcuno non è concesso. Che cosa è concesso nel tempo dell’assenza? Che cosa resta? Forse soltanto la parola “cura…” Il che significa che la domanda invoca di essere trasformata: non “come si fa a tenere i contatti” ma “come si fa ad aver cura nel tempo dell’assenza?” C’entra relativamente poco la tecnologia, o meglio rappresenta l’estremo atto di un processo che presuppone a monte un pensiero, un desiderio, un atto creativo/trasformativo. Possibile ipotizzare una sorta di istruzioni per l’uso a riguardo?

Pensiero: nel tempo dell’assenza penso a qualcuno solo nella misura in cui ho saputo tessere, fare a cambio, condividere in presenza. L’assenza si annulla in un istante quando rivediamo persone con cui abbiamo camminato, riso, pianto, progettato, costruito. L’assenza non ruba la nostalgia, ma ne diventa generoso codice moltiplicante, capace di restituire la percezione del valore dell’altro nella costruzione della nostra storia.

Desiderio: nel tempo dell’assenza ogni maschera cade. Perché cerco o non cerco le persone? Che cosa cerco in loro? Qual è il mio approccio? Strumentale o incantato, capace cioè di lasciarsi abitare ancora dallo stupore, dal desiderio di conoscere e riconoscersi nella comune umanità dell’altro? Perché alla radice del desiderio c’è forse sempre un bisogno di appartenenza, di comprensione profonda, troppo spesso sacrificata sull’altare della fretta e della dimenticanza. Gesù nei suoi contatti usava tatto e creava contatto con la storia dell’altro perché riusciva a starci dentro con calma, con amore, riusciva ad abitarla.

Atto creativo/trasformativo: nel tempo dell’assenza re-invento il mio modo di “stare e di andare verso l’altro”. Come traduco il mio desiderio di aver cura di te? Quanto facilmente mi arrendo o quanto so invece trasformare i riti di sempre per farli abitare di aria nuova? Quante soluzioni so inventare per raggiungerti e stare con te nonostante la distanza? “Ti chiamo, ti scrivo, ti chatto, ti penso, ti mando un regalo, ti… respiro”. Re-spirare letteralmente significa “soffiare addietro”, indica il movimento del nostro polmone che accoglie trasforma e rilascia rigenerato il nostro soffio vitale. È quello che ha fatto Dio con noi quando ha soffiato il suo alito di vita, nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza. Avrò cura dei miei contatti nella misura in cui saprò alimentare questo respiro, accogliendo e rigenerando ogni tratto dell’altro. Non si tratta di “trattenere” ma di trasformare e rinnovare la creazione dell’altro.

Anche in tempi di pandemia Dio continua a creare con i suoi contatti e noi con Lui.

Ti penso, ti desidero, nel tempo dell’assenza trasformo il silenzio in ascolto profondo. Sospendo il giudizio zavorra, e ogni volta mi ri-cimento nella titanica impresa di fare verità su me stessa/o e sullo specchio umano che ciascuno infondo rappresenta.

Lucia Ferraro, docente di metodologie e tecniche di mediazioni culturali allo IUSVE