Capacità di cambiare, fedeltà di restare

Lettera diocesana 2017/05

Se guardiamo alla sua vicenda terrena, scopriamo che Gesù, dopo un lungo soggiorno a Nazareth, scende dal villaggio tra le montagne e “prende casa” a Cafarnao. La città è il punto di partenza che permette a Gesù di girare nei villaggi attorno al lago per annunciare la Parola. Il suo ministero ci appare capace di radicamento, ma anche di una mobilità che lo rende libero da attese e pretese della gente.
Anche oggi al prete viene chiesta spesso la capacità di cambiare e, nello stesso tempo, la fedeltà di restare. Nessuno impara una cosa senza l’altra, e solo chi si lega profondamente può testimoniare la libertà di partire quando la Parola lo chiama altrove.

In ogni caso, il cambio di destinazione è un passaggio delicato. A volte coincide perfino con un momento critico nel ministero del prete. Molti equilibri raggiunti si perdono, altri vanno ricostruiti: nuovi ritmi di vita, nuove relazioni, situazioni inedite da affrontare, tradizioni da comprendere e assumere…

Tutto questo comporta una fatica e un grande lavoro personale: che cosa può riscoprire di sé e della sua vocazione pastorale un prete che vive un momento di passaggio?

La cosa più evidente che può percepire è lo spessore delle relazioni che sono nate e cresciute nella parrocchia che sta per lasciare e che sono divenute parte consistente della sua vita: nel momento in cui queste relazioni vanno in qualche misura lasciate, se ne scopre tutta la densità e la bellezza, si prova il gusto dell’essersi lasciati amare, ma ci si ritrova anche liberi di andarsene altrove, liberi anche nel compiere i primi passi dentro nuove situazioni da apprendere.

Ogni cambio di destinazione permette, poi, di rivivere la grazia delle origini, con l’entusiasmo di chi decide di nuovo di seguire il Signore: si ritrovano le radici della vocazione, la bellezza di annunciare il vangelo a tutti e di servire, nel momento in cui la Chiesa, la fede, il ministero, diventano parole meno ideali e più possibili.

In definitiva, il cambio di servizio diventa uno spazio ospitale, dove riscoprire la relazione con il Signore che è all’origine della vocazione; dove lasciare entrare i nuovi rapporti che il ministero reca in dono; dove imparare a non aver paura della propria interiorità.

In questo contesto si pone il lavoro svolto ormai alcuni anni fa dal Consiglio presbiterale, ora ripreso e portato a compimento, a proposito di una Nota sull’avvicendamento dei parroci. Non soltanto sono state messe per iscritto delle buone pratiche circa le procedure dei cambi, ma soprattutto questi ultimi sono stati collocati dentro un quadro di comunità che non deve venire meno. Non sono soltanto i preti a essere coinvolti nel momento del cambio: con loro c’è una serie di attori che non vanno dimenticati, quali sono il Consiglio pastorale parrocchiale, il Consiglio per la gestione economica e il vicariato. In fondo, è tutta la comunità a essere coinvolta in un esercizio di verifica pastorale, amministrativa ed economica, quando cambia il proprio parroco.

La proposta più originale che riguarda la Nota è proprio la “consegna” che la comunità fa di sé al nuovo parroco, grazie all’aiuto di chi se ne va e del vicario foraneo, attraverso una modalità di lavoro i cui risultati vengono messi per iscritto. Il momento del cambio diventa quindi occasione per fare un bilancio, per individuare il cammino fatto, quanto resta da fare, le priorità della comunità, le scelte e i criteri che l’hanno animata nel tempo, i correttivi da prendere.

Il quadro attuale, oltre tutto, è abbastanza incerto: comunità, aggregazioni di parrocchie, unità pastorali e vicariati sono diventati i temi all’ordine del giorno, per cui lo stesso cambio del parroco diventa sempre più il “cambio” di tante situazioni alle quali ci si era abituati e che non riusciamo ad immaginare pienamente.

Davvero utile è la parola “esercizi”, che ritroveremo nel piano pastorale del prossimo anno: prendiamo le misure, vediamo di capire, individuiamo dei percorsi. Insieme, però, perché il Vangelo si dice assieme: preti che vanno e che arrivano, comunità che vivono, si perdono e si ritrovano.

don Giuliano Zatti, vicario generale